Akira, incubi e ansie del Giappone del boom economico

Tratto da Fuori fase ep 1, Giovani sull'Orlo di una Crisi, Radiosonar 2020.
a cura di Mik.

Per comprendere appieno cosa significhi questo film, il quale si presenta come una massa caotica di concetti giustapposti che provano in tutti i modi a non farsi comprendere dallo spettatore, tanto da richiedere un certo numero di visioni per iniziare solo a tracciare i contorni della materia di cui si parla, occorre prima comprendere quale fosse il contesto che produsse quest’opera titanica.

Riassumendo molto in breve, il Giappone, uscito sconfitto e a pezzi dalla 2GM, in seguito all’occupazione americana, dopo aver sperimentato in prima persone l’orrore della devastazione atomica, subì un rapidissimo processo di sradicamento dalle proprie origini culturali, vd la fine della natura divina di sm l’Imperatore Hirohito e lo scioglimento dell’esercito, per divenire, sotto la guida del Generale MacArthur negli anni 50, una specie di colonia degli Usa che imparò tanto bene l’arte del Capitalismo e dello sviluppo tecnologico che dopo un paio di decenni di ricostruzione, visse un periodo da sogno, possiamo definirlo così, in cui il PIL cresceva a due cifre, giravano un sacco di soldi, il paese cambiava volto all’insegna dell’informatizzazione e della finanza, finché ad un certo punto i cambiamenti sociali e dell’inconscio collettivo non si manifestarono in tutta la loro violenza, svegliando di colpo la nazione dall’incanto in cui per tutti gli anni 80 era vissuta nel 1995, ma questa è un’ altra storia e vi basti ricordare che la metro può essere un posto pericoloso. Dopo la pappardella storica spendo due parole sullo sviluppo dell’industria dell’animazione giapponese. Uno dei prodotti della cultura pop nipponica che ci è rimasto da allora e che ha visto, dopo il suo iniziale sviluppo negli anni 70, proprio negli anni del boom la sua fioritura più rigogliosa è proprio l’animazione, gli “anime” per chi si dà arie intellettuali o i cartoni giappi per chi come me vola ben più basso, che già di per sé rifletteva il volto di una nazione che cambiava rapidamente svuotando di significato le vite dei suoi abitanti, e di cui Akira rappresenta il picco più alto, l’azzardo più grande, la produzione più costosa e mastodontica con un budget di 1 mld di yen.

Dopo questa interminabile parentesi storica, purtroppo c’é bisogno di farne un’altra, spero il più breve possibile, su un nuovo tipo di fantascienza apparso come deriva estrema dell’immaginario punk applicato ai racconti di mondi futuri perfetti e di utopie all’acciaio cromati della tutto sommato ridente fantascienza che aveva ancora un certo gusto anni 50, che ai sogni ad occhi aperti della letteratura precedente sostituiva ambienti urbani postindustriali devastati, lo “sprawl” di gibsoniana memoria, conditi di ben più vera povertà e disuguaglianze sociali risultato di uno sviluppo tecnologico rapido e brutale che portava ad una fusione e complementarietà tra uomo e macchina, in cui il briciolo di umanità che rimaneva negli abitanti degli slum era annientato dalla freddezza dei loro impianti cibernetici. Il suo nome era Cyberpunk e il film che lo fece uscire da qualche rivista letteraria di nerd che non si filava nessuno era Blade Runner del 1982, che lo consegnò alle masse degli anni 80. Era inevitabile che questo genere arrivasse nelle lande del sol levante infatti per citare Gibson il Giappone degli anni 80 era Cyberpunk per definizione, e la rilettura più completa e meravigliosa di questi nuovi stilemi artistici al sapore di salsa di soia fu proprio Akira, il film che una volta esportato in vhs America sancì il successo internazionale dell’animazione giapponese creando il fenomeno mondiale degli anime come lo conosciamo oggi.

Di che parla sto film? Una domanda difficile. In una neo Tokyo del 2019, dopo 30 anni dall’esplosione nucleare che la distrusse, bande di ragazzini sbandati e violenti popolano le strade notturne, figli di una società che appare sul punto di scoppiare sotto il peso delle disuguaglianze su cui si basa, viste le violenti manifestazioni e l’azione di un movimento sotterraneo di resistenza, i cui abitanti non sembrano fare altro che aspettare stando lì appesi l’arrivo di una qualche forza salvifica, Akira appunto, ma che nessuno sa bene cosa sia. In questi caos generale si ambienta la vicenda esistenziale di due ragazzi orfani cresciuti insieme, Kaneda, il leader della banda di cui fanno parte, e Tetsuo, che quell’altro ha sempre cercato di proteggere, il quale per bizzarra decisione del destino otterrà grazie all’incontro/scontro con una cavia di un esperimento del governo (un bambino vecchio, un esper insomma) dei poteri extrasensoriali che lo porteranno, dopo essere rinchiuso dal governo, essere fuggito, aver distrutto mezza città, essersi scontrato contro i militari, che nel frattempo avevano fatto un colpo di stato e contro il suo amico di una vita, essere diventato una specie di ameba biomeccanica che ingloba tutto e venire sconfitto non si capisce bene come e perché e a fondersi con l’Akira originario, ad affermare radicalmente la propria esistenza annullando tutto e creando un nuovo universo. In una frase non si capisce un cazzo. Dal marasma di elementi che compone quest’opera comunque escono fuori alcuni temi molto interessanti, soprattutto se calati e compresi alla luce delle trasformazioni sociali che avvenivano in quel periodo.

In primis tutto il film accenna, riuscendo solo in parte a tratteggiarlo, al fantomatico Akira che dà il titolo al film che, oltre ad essere un ragazzino che 30 anni prima perse il controllo dei propri poteri psichici distruggendo Tokyo in un’enorme esplosione, è un’allegoria del progresso, inteso qui soprattutto in senso tecnico, che tutto travolge e tutto trasforma, di cui ci vengono mostrati sin dai titoli di testa tutti gli aspetti devastanti incarnati dal fungo atomico e dalla devastazione iniziale. Il progresso tecnico scientifico cambia e stravolge tutto ciò che incontra, e coloro che provano a tenerlo sotto controllo sono destinati miseramente a fallire e a perdere il polso della situazione, come del resto sia i militari del film che per anni hanno condotto ricerche sui poteri di Akira per poi venire sopraffatti da Tetsuo, sia i politici totalmente incapaci di fare nulla se non tentare malamente di rimanere sulle loro poltrone nonostante le rivolte.

Il film quindi prende come uno dei suoi temi centrali lo scontro tra tecnologia e vita biologica, lo scontro uomo/ macchina, già ampiamente affrontato in Blade Runner precedentemente. Sebbene lì vi fosse una netta distinzione tra i replicanti, una specie di superuomini sintetici dai poteri mirabolanti e dall’intelligenza sviluppata che affermavano di aver preso coscienza della loro esistenza e pretendevano di essere padroni del proprio destino al pari degli uomini, qui non c’è nulla di tutto questo. In Akira la simbiosi tra uomo e macchina incarnata da Tetsuo è totale, mostruosa e aberrante. Se prima comunque c’era una distinzione tra queste due entità ora uomo e macchina si fondono fino a diventare una specie di ameba biomeccanica gigantesca che nell’incontro con il sintetico perde completamente tutta la sua umanità tanto da diventare un ammasso di tessuti e di metallo che inghiotte e risucchia tutto. Ne esce quindi una visione quindi terribile della tecnologia che cambia l’umano dall’interno, come lo sviluppo economico/tecnologico aveva sconvolto la vita del giapponese medio privandolo dei suoi storici punti di riferimento catapultandolo in una specie di incubo high-tech, che tocca e ingloba nella sua smania di rinnovamento e conformazione a nuovi parametri “alieni” tutto, tanto che alla fine si arriva all’annullamento del tutto e all’inizio di qualcosa di nuovo.

Il film fornisce quindi una specie di catalogo di tutti i tipi di persone che popolano questo mondo allo sbando privo di riferimenti. Da un lato abbiamo i giovani teppisti, figli di una società che fa della violenza la sua quotidianità, che non gli fornisce un’istruzione decente, che non si preoccupa di loro, che non gli dà alcuna prospettiva futura e che sa rispondere al loro disagio esistenziale solo con l’emarginazione e il pugno duro della repressione poliziesca, bellissima la scena dei quando portano Kaneda in questura in seguito a degli arresti di massa. Dall’altro ci sono i bambini (ormai ex bambini) dotati di poteri paranormali compagni di gioco di Akira che hanno passato gli ultimi trent’anni chiusi nei laboratori governativi. Questi bambini sono stati condannati a rimanere nella loro infanzia per tutta la vita, anche se i loro volti mostrano evidentemente i segni della vecchiaia e di anni di sofferenze. Questi bambini vecchi, rinchiusi in un mondo ovattato e a cui è stata tolta la possibilità di crescere e di rendersi indipendenti, rappresentano un’allegoria, manco troppo sottile, di tutte quelle masse di neet, di alienati, di otaku, che hanno reagito alla mancanza di prospettive e di punti di riferimento impostagli dalla società capitalista a stato avanzato chiudendosi nel proprio mondo, sia esso internet, gli anime stessi, la droga, chi più ne ha più ne metta, schiavi di un desiderio profondo di serenità e di comprensione che mai riusciranno ad appagare, vista la distruzione totale di ogni forma di rapporto umano. Questo del resto è un tema ricorrente nel film, tutti cercano l’empatia di qualcun altro, ma nessuno la trova. Tetsuo uccide i suoi amici, inghiottisce la sua fidanzata e prova a più riprese a rifarsi di non si sa bene cosa col suo migliore amico di una vita, Kaneda, ormai lontano anni luce dal suo compagno di giochi dell’infanzia, cerca tutto il film un rapporto amoroso con una ragazza che però alla fine non trova mai. Si potrebbe andare avanti ore a parlare dei temi che permeano quest’opera mastodontica, ma anche imperfetta e piena di difetti, capace di dire ad ognuno qualche cosa. Un concentrato di tutte le ansie, le paure, le frustrazioni e le delusioni di un Giappone che viveva un periodo di sogno collettivo basato però su delle fondamenta marce che di lì a poco avrebbero ceduto. La descrizione della società di neo Tokyo però si adatta bene anche quella che in cui viviamo trent’anni dopo anche qui in Italia, tra mancanza di prospettive e spaesamento per i giovani e crisi economiche e sociali. Da allora però l’informatizzazione di massa e i social media hanno davvero creato un nuovo mondo, che però non ha fatto altro che, seguendo le logiche che la cultura dominante ha continuato ad imporci, aumentare l’individualismo e la competizione tra le persone, portandoci sempre più a isolarci e chiuderci nelle nostre bolle rassicuranti al riparo da tutto e da tutti. Non ci resta che impegnarci in prima persona perché questo cambi portando nuove parole di comunità e di solidarietà e organizzandoci insieme perché a quanto pare non possiamo affidarci a nessuna venuta di Akira che risolva i nostri problemi.